Ordinazioni Diaconali. Omelia dell’Arcivescovo don Mimmo Battaglia

Non temere. Il cuore di Giairo è nella tempesta. Sua figlia è in preda alla morte, che sembra essersi impadronita definitivamente di lei. La speranza sembra crollare e proprio in quel momento Gesù si rivolge a lui, gli si avvicina, e conforta il suo cuore perso nel dolore e nella paura: “Non temere. Non aver paura. Ci sono io. L’Emmanuele. Il Dio con noi. Il Dio con te. Per te, per la tua vita, per la vita della tua piccola”. Giairo è afferrato dalla paura la cui profondità dinanzi alla morte sembra essere un abisso senza fondo ma è proprio sull’orlo di quel baratro che l’imperativo di Gesù lo raggiunge: la paura può cedere il posto alla speranza. Ma ad una condizione, la condizione che il secondo imperativo ci descrive con l’invito alla fede. Abbi fede! Un invito che squarcia il buio. Una parola che ha il tono della preghiera. Preghiera di Gesù a Giairo. Prima era stato il padre della ragazza a venire da Gesù a supplicarlo. Si direbbe che adesso sia il Maestro a implorare Giaro: Gesù ha bisogno della sua fede, fede che non deve venir meno, anche se subisce un ruvido scossone, anche se deve reggere una notizia terribile, la notizia della morte. Provate a immaginare lo sguardo di Gesù rivolto a Giairo nel momento in cui gli suggeriscono di lasciar perdere, che non è più il caso, che non c’è nulla da fare. Sono questi i momenti in cui si gioca la solidità della fede. Quando tutto va male. Quando la realtà ha pronunciato la sentenza più brutale ed inappellabile. Una fede che tratti con Gesù soltanto di affari possibili, è timidezza, paura, non fede. La fede è quella capace di gestire con Lui gli affari impossibili, quelli dove la parola umana diventa muta. Alzati. La mano di Gesù e quella della bambina. Un’immagine di una poesia inaudita: Dio e una bambina, mano nella mano, l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, insieme, in un legame d’amore che va oltre tutto. Oltre le apparenze scontate, oltre la banalità terribile della morte, oltre il pregiudizio di chi si ritiene puro. Infatti per la legge non vi era nulla di più illecito e impuro che toccare un corpo morto ma Gesù sa bene che non si può amare a distanza di sicurezza, che non si possono accarezzare le ferite delle persone mimando una carezza da lontano. No, l’amore tocca le ferite dell’altro, il suo corpo piagato, il suo cuore spezzato. e questo tocco guarisce, libera, ridesta. E Gesù ridesta la piccola e la richiama alla vita: Talità kum. Giovane vita, risorgi. Riprendi la gioia, la lotta, la scoperta, l’amore. Con Cristo nessuno è morto per sempre. Là dove l’uomo si è fermato, da lì Dio lo aiuta a ripartire. Dove l’uomo si ferma, Dio lo invita a riprendere il cammino. Io sono la resurrezione. Risorgi! Sorelle, fratelli, in questo tempo così complesso e stanco, in cui tante notizie di morte giungono ai nostri orecchi da diverse parti del mondo, in cui la fiducia nel futuro e nella vita sembra essere messa a dura prova, la fanciulla apparentemente morta, la fanciulla che dorme in ciascuno di noi è la speranza! E occorre svegliarla, ogni giorno bisogna farla alzare, ogni giorno rimetterla in cammino, iniziando a guardare la storia con gli occhi di Dio. Perché lo sguardo di Dio vede oltre: la tua vita non è morta, solo dorme. Il tuo cuore non è morto, solo dorme. La tua volontà di impegno non è morta, è solo addormentata. Questi versi raccontano di un Dio che ripete a ogni creatura, a ogni fiore, a ogni uomo e a ogni donna la sua benedizione: talità kum. Io dico a te vita, alzati, rivivi, risplendi. Antonio, Giuseppe, Claudio, Antonio, Alessandro, il Vangelo che riceverete tra poco, durante il rito di ordinazione, vi consegna proprio quest’invito alla speranza, questi tre imperativi di cui dovete essere servi e

devono dar senso alla vostra diaconia. E ricordate: questo ministero non scomparirà con il presbiterato ma sarà in qualche modo “inglobato”. L’impegno a servire che oggi assumete diventando diaconi non deve mai venire meno nella vostra vita di diaconi e ancor più dovrà venir meno nella vostra vita di presbiteri. Ce lo ricorda simbolicamente papa Francesco quando nelle Eucarestie del giovedì santo, recandosi nei luoghi dove la speranza sembra essere messa a dura prova, rindossa la stola diaconale, per chinarsi sui piedi degli ultimi e dei marginali. Questa stola che oggi indosserete non vi abbandoni mai! Portatela sempre! Con amore e generosità! Lo stesso amore e la stessa generosità che hanno generato i due importanti “sì” che oggi pronunciate, accogliendo nella vostra vita il dono del celibato e il vincolo dell’obbedienza. Accogliendoli potrete esercitarvi in quello “spreco di generosità” di cui spesso parlava don Tonino Bello e sulla sua scia vi invito a vigilare affinché non vi riprendiate a piccole dosi e con tanti no clandestini la libertà e la dedizione che oggi mettete nelle mani di Dio e a servizio del suo popolo! Fratelli miei, siate i servi di chi vive la notte della paura, attanagliato da mille problemi, afferrato dallo scoraggiamento, abbattuto a causa delle avversità che la vita, pur con tutta la sua bellezza, non manca di riservare al nostro cammino. Siate l’eco dell’invito evangelico a non avere paura, amplificate con la vostra voce la voce viva di Gesù che invita i suoi discepoli a non temere dinanzi a nulla, perfino dinanzi alla morte. Ridestate il coraggio e l’audacia della gente, aiutate i loro volti a brillare nuovamente e ad affrontare le sfide del tempo presente nella consapevolezza che il Signore è con loro, che la Chiesa è con loro e che mai saranno abbandonati. Siate servi premurosi capaci di lavare i piedi stanchi dei poveri e degli ultimi, infondendo loro il coraggio necessario a riprendere il cammino. E in quella ripresa non lasciateli mai soli ma camminate sempre accanto a loro, al loro fianco, nel loro percorso di liberazione e di resurrezione. Come Gesù invitò Giairo a non avere paura, così il vostro servizio sia un costante invito agli uomini e alle donne che incontrerete a non temere nulla perché la vittoria dell’amore pasquale di Cristo avrà sempre l’ultima parola su tutto, perfino su ciò che sembra senza senso, perfino sulle sorti che sembra impossibile rovesciare. In un tempo in cui sembra che non ci siano ragioni per gioire e per sperare a causa delle tenebre della guerra, dell’ingiustizia e del dolore il vostro servizio semini nel cuore di tutti il coraggio della speranza, liberando il loro sguardo dalla morsa della paura e aprendo loro gli orizzonti di una nuova aurora che con l’impegno di tutti, grazie allo Spirito di Dio, sarà possibile affrettare!

Siate servi della fiducia della gente! Accompagnatori della loro fede! Guardate a come Gesù chiede a Giairo di non far arretrare di un millimetro la sua fede e rivolgete lo stesso invito ai vostri fratelli e alle vostre sorelle, rendendolo credibile con la testimonianza di una vita affidata! Il vostro servizio all’altare sia sempre celebrazione della bellezza della fede, della gioia di essere popolo in cammino radunato intorno alla mensa eucaristica, della fedeltà di Colui che non ci lascia soli ma che ci offre nel suo Vangelo – Vangelo di cui oggi diventate servi e annunciatori – una bussola sicura per affrontare le sfide della vita! Siate davvero servi della fede e non sentitevene mai padroni, ponetevi con umiltà in ascolto della gente, dei loro dubbi, dei loro travagli, ma anche del loro desiderio di fidarsi di Dio, del bisogno che hanno di scommettere sulla sua parola la propria vita! E per favore, fuggite le risposte preconfezionate, quelle da manuale, che volano sulla testa della gente e che non intercettano le domande profonde del cuore umano. Al contempo però anche in questo percorso di accompagnamento della vita di coloro che il Signore porrà sul vostro cammino, ricordate di non essere dei battitori solitari ma appartenenti ad un corpo più ampio che è quello della Chiesa, che ha il compito di custodire la fede e alimentare la fiducia in questo nostro mondo amato da Dio, mondo che attende sempre una parola di speranza capace di indicare la via della vita! E infine figli miei carissimi, chinatevi! Non abbiate mai paura di chinarvi, di abbassarvi sui piedi feriti della gente! Non abbiate paura nel vostro servizio di toccare con la vostra mano le sofferenze e le fatiche di chi vi sta accanto! Gesù avrebbe potuto guarire anche a distanza la piccola figlia di Giairo ma ha voluto dimostrarci che l’amore è vero soltanto se si fa vicino, soltanto se non teme di chinarsi e di prendere per mano l’altro ridonandolo alla vita! Siate nella nostra Chiesa e per la nostra Chiesa di Napoli il segno concreto della diaconia di Cristo diventando sempre più – come recita la preghiera di ordinazione – sinceri nella carità, premurosi verso i poveri e i deboli, umili nel servizio, retti e puri di cuore, vigilanti e fedeli nello spirito (…) ad immagine del Figlio di Dio che non venne per essere servito ma per servire! Antonio, Giuseppe, Claudio, Antonio, Alessandro, il servizio diaconale che oggi la Chiesa per le mani del vostro Vescovo vi affida non dovrà essere per voi un tempo provvisorio, di passaggio, quasi un esame da superare per giungere a un livello ritenuto (erroneamente!) superiore. Nulla di più sbagliato: la diaconia che oggi abbracciate incarnandola in un particolare ministero nella comunità è la diaconia del Cristo, della Chiesa, diaconia che dovrà accompagnare ogni vostro passo da oggi e per sempre! Vi farò dono di un grembiule, è il grembiule del servizio, unico paramento sacro indossato da Gesù nella prima cena eucaristica. Per favore, se qualche volta dovesse scomparire tra i broccati e i ricami delle sacrestie non scompaia mai dal vostro cuore: sia il primo paramento che indossate prima di incontrare una persona, prima di ascoltare la gente, prima di andare a trovare i poveri e gli ammalati. Indossandolo nel cuore gusterete la bellezza del donarvi e ricorderete sempre che la grandezza della vostra vita si giocherà tutta sul servizio! E per favore: non trasformate il ministero del servizio che oggi vi viene affidato in uno status privilegiato, cedendo alla tentazione del credersi migliori degli altri, detentori di un potere sacro a cui offrire rispetto, riverenza e obbedienza. Quando questa tentazione vi afferra guardate al grembiule, lavate il vostro cuore con l’acqua di quella prima brocca maneggiata dal Maestro e con lacrime di commozione e conversione tornate a servire come “servi inutili a tempo pieno”! Sorelle e fratelli tutti, guardando a questi nostri amici che oggi diventano diaconi non dimenticate che il loro ministero sarà espressione della diaconia di tutta la comunità cristiana, diaconia che viene chiesta a tutti noi dal Signore Gesù il quale ci ha indicato lo stile del servizio e dell’amore gratuito e senza riserve come unico stile possibile dei suoi discepoli! Sono certo che già vi esercitate da tempo in quest’arte delicata e feconda del servizio e che, proprio attraverso la vostra testimonianza di madri, padri, parroci, amici, fratelli e sorelle nella fede, il cuore di questi nostri giovani è stato arato per essere poi pronto ad accogliere il seme della chiamata e a farlo germogliare! Per questo permettetemi di dirvi grazie, di ringraziarvi ad uno ad uno, affidando ciascuno di voi e questi vostri figli e fratelli alla tenera custodia di Maria, donna del servizio, ancella del Signore! Che sia lei ad attendervi nel silenzio della sera come madre tenera e premurosa, accogliendo le vostre stanchezze e donandovi il ristoro di cui ha diritto chi si dona senza riserve. Che sia lei a colmare con la sua testimonianza di discepola fedele le notti buie della solitudine e dell’incomprensione, che pur non mancano a chi con entusiasmo si mette a servizio del Regno! Che sia lei, a ripetervi – quando vi afferra la tentazione di fare di testa vostra, seguendo la logica del mondo – come fece con i servi a Cana: fate quello che vi dirà, fidatevi! Che sia lei a lasciarvi intravedere tra le pieghe del futuro il frutto del bene, della bellezza e della bontà che attraverso il vostro servizio seminate a piene mani nel campo del mondo che, anche grazie a voi, può tornare a sperare e a sognare l’alba di nuova civiltà, la civiltà dell’amore!

Ordinazioni Diaconali. Omelia dell’Arcivescovo don Mimmo Battaglia